Testimonianza di un’accoglienza possibile nel territorio della provincia di Bologna

12 gennaio 2021 di Simone Varesano

Oggi in Italia, affrontare discorsi sull’accoglienza di migranti e richiedenti asilo risulta quanto mai complesso, a causa di diversi fattori: primo fra tutti la persistente strumentazione politica che circonda la tematica, oggetto di discorsi connotati da forti componenti ideologiche che inficiano sulla qualità delle affermazioni e delle argomentazioni esternate dai protagonisti della politica tutta (senza distinzione di appartenenze politiche), dando vita a dibattiti sterili che a nulla portano se non alla costituzione di “tifoserie” contrapposte.

Viene quindi riportata la testimonianza di un’esperienza di tirocinio svolta presso una struttura SPRAR (il Sistema di Protezione per Richiedenti asilo e rifugiati, istituito ai sensi della legge 189/2002, ora sostituito con l’istituzione, ai sensi del DL. 113/2018, convertito in L. 132/2018, del Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri accompagnati, SIPROIMI) nel territorio della provincia di Bologna, più precisamente nel Comune di Galliera.

“Casa Galliera” nasce inizialmente come centro di accoglienza speciale (CAS) di seconda accoglienza, per volontà di Don Matteo Prosperini, parroco della Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio a San Vincenzo di Galliera: avendo a disposizione le sale parrocchiali, l’obiettivo intrapreso è stato quello, appunto, di fornire un aiuto sostanziale a favore di richiedenti asilo e rifugiati provenienti dagli Stati dell’Africa subsahariana, arrivati in Italia seguendo le rotte migratorie del Mediterraneo. Per il funzionamento della struttura, il servizio è stato poi attuato attraverso la presa in carico del progetto da parte della cooperativa sociale “La Piccola Carovana”.

La particolarità di tale esperienza sta nella configurazione che è andata assumendo nel corso del suo sviluppo: in particolare, l’equipe di lavoro, costituita dal coordinatore Damiano Borin e gli operatori Roberto Bartilucci e Angela Assinelli dipendenti della cooperativa, insieme a Don Matteo, hanno attivato sin dalla costituzione dello SPRAR una modalità di lavoro reticolare, attraverso un coinvolgimento della comunità locale, in primis i fedeli della comunità parrocchiale. Hanno quindi avuto coscienza del possibile impatto del progetto sulla popolazione residente, considerandola quale destinataria stessa del loro agire professionale, oltre naturalmente ai beneficiari stranieri.

Pertanto, l’implementazione dell’accoglienza si è svolta su più piani, diversi ma tra loro interconnessi:

essere operatori SPRAR includeva un lavoro sul contesto globale in cui si andava operando, sapendo che la costruzione di legami solidi con gli enti comunali, la popolazione e i servizi costituisse un requisito fondamentale per la buona riuscita del progetto.

Sono state organizzate varie assemblee ove i residenti potevano esporre i loro dubbi, le loro perplessità e ricevere risposte adeguate dagli stessi operatori, i quali, a loro volta potevano presentare il loro lavoro, il progetto di intervento nella sua complessità, o anche solo rassicurare la popolazione in merito alle preoccupazioni che naturalmente emergono nel momento in cui si assiste ad un cambiamento che può incidere fortemente sul contesto di vita di un piccolo comune di circa 5000 abitanti.

A ciò si sono aggiunti momenti di pura convivialità, come cene collettive o anche feste di compleanno dove gli stessi beneficiari si sono messi a disposizione dei partecipanti, preparando cene etniche con pietanze tipiche dei loro paesi di origine: è stato grazie a questi momenti che è avvenuta la conoscenza diretta e quindi il raccordo tra ospitati e ospitanti,


dando vita e successivamente consolidando quello che si può definire il “buon rapporto di vicinato”;

non sono mancati esempi, infatti, in cui alcuni residenti appartenenti alla fascia più anziana della popolazione si sono affezionati ai beneficiari del progetto SPRAR, instaurando un rapporto di mutuo aiuto ove i secondi si rendevano disponibili nell’aiutare i primi a fare la spesa, e viceversa i primi invitassero a pranzo i secondi .

A ciò si è aggiunto un lavoro attento da parte degli operatori (anche grazie alla scelta di optare per un basso numero di beneficiari da accogliere, pari a dodici) sul percorso di realizzazione personale dei loro utenti: in un’ottica di collaborazione e co-costruzione dei progetti esistenziali di ciascuno, è stata possibile l’attivazione di tirocini retribuiti nell’ambito della manutenzione del verde pubblico, a partire però dalla partecipazione dei richiedenti asilo in progetti di volontariato, in modo che gli stessi maturassero un senso di cittadinanza attiva che li portasse innanzitutto a spendersi, in termini di attività e competenze da mettere in gioco, per la comunità ospitante. Da qui, è stato poi possibile sviluppare i loro percorsi in ottica anche più propriamente professionale, accompagnati dalla frequenza di tutti i beneficiari a corsi di lingua italiana presso il CPIA (Centro provinciale per l’istruzione degli adulti), sito in un comune adiacente a Galliera.

Il lavoro svoltosi a “Casa Galliera”, dal raccordo con la comunità locale all’attenzione dei progetti esistenziali dei beneficiari, sicuramente non può considerarsi un caso esemplificativo di tutto il panorama nazionale dell’accoglienza:

può essere però utile nel dimostrare quanto questa non sia un obiettivo utopistico, quanto piuttosto un settore del sociale ancora acerbo,

soggetto sì a difficoltà, contraddizioni, carenze e inefficienze, ma allo stesso tempo vittima, ad oggi, di una modalità di approccio istituzionale di carattere ancora emergenziale (protrattosi ormai da oltre trent’anni), affidandosi quindi soltanto alla buona volontà dei singoli attori che vi si impegnano. Ciò non consente lo sviluppo di metodologie operative solide, approcci programmatori sistemici che consentirebbero un raggiungimento generalizzato dei risultati ottenuti a Galliera.

Le condizioni strutturali del mondo globalizzato, la contiua connessione tra le nazioni di tutti i continenti impongono tale approccio, affinchè l’immigrazione non sia più da considerarsi quale emergenza che determina oneri e spese, quanto piuttosto una reale opportunità di sviluppo, senza abbandonarsi a retoriche umanistiche sterili fini a sè stesse.

Inclusione sociale a basso impatto sulla comunità locale

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