Musica concentrazionaria: cos’è?

di Sara Fievoli

Il 27 gennaio è la giornata internazionale dedita alla memoria delle vittime della Shoah. In questa occasione si ricordano eventi storici che la scuola e i media ci insegnano fino a farci impregnare tali avvenimenti nella memoria, i quali per la maggior parte di noi possono essere percepiti come racconti tragici e lontani, come qualcosa che fa parte di una società ormai distante da quella odierna a cui ci siamo abituati a vivere.

Per coloro che, per fortuna, non l’hanno vissuta è importante quindi ricordare il peso della storia e portare alla luce le tracce di coloro che ne portano ancora i segni.

BArbara di  Bert, con i capelli raccolti in una crocchia, è vestita di nero e tiene in mano un diapason.

Grazie a Barbara Di Bert, Maestra di musica del gruppo Polivoice di Terzo di Aquileia, abbiamo cercato di contribuire dando voce ad una realtà poco conosciuta all’interno dei campi di concentramento, ossia la musica concentrazionaria.

L’idea di affrontare tale tematica, molto impegnativa ed ostica per il significato e il simbolo che porta appresso, è nata a seguito di una collaborazione con la lettrice Marianna Fernetich, in cui il gruppo vocale diventava la voce della storia che veniva letta rispettando il senso e il tema scelto. Successivamente al coro si è aggiunta la collaborazione con Carlo Tolazzi, drammaturgo con il quale si è costruito un progetto in ricordo della prima guerra  mondiale e da cui nacque l’intenzione di trattare anche il tema dell’olocausto. Essendo il tema molto impegnativo, il lavoro di ricerca e studio di tale progetto, “Zakhor”, in questi quattro anni ha portato a porre delle continue modifiche. Inizialmente la musica era legata al periodo dell’olocausto e le tematiche storiche inerenti, dopodiché si è focalizzati nel canto per dare voce a brani della musica concentrazionaria nel modo più intimo e rispettoso dei testi e delle persone vissute.

Attorno agli anni ’80 del Novecento sono emersi brani e componimenti scritti in più lingue all’interno dei campi di concentramento. Oggi sono importanti testimonianze che trasmettono speranza e gioia, in totale contrasto rispetto al contesto dei luoghi in cui gli autori sono vissuti. All’interno del progetto “Zakhor” si sono volute portare alla luce due figure femminili, Ilse Weber e Frida Misul, come testimonianze di donne che attraverso la musica hanno superato la violenza psicologica e i soprusi durante la loro prigionia.

La prima, Ilse Weber, è stata una scrittrice di origine ebraica che ha vissuto la prigionia ad Auschwitz per poi essere trasferita a Theresienstadt, un campo di concentramento in cui le forme d’arte venivano innalzate e gli artisti si esibivano per il kapò e i militari tedeschi di alto rango. A Theresienstadt come poteva capitare anche in altri campi, questi brani dediti ad occasioni di festa per i tedeschi, fungevano invece per il musicista e il cantante come ultima occasione di speranza e “libertà” poiché, dopo le loro esibizioni, venivano uccisi. Gli artisti che erano molto bravi potevano godere di alcuni favoritismi e avere una vita “migliore” rispetto altri deportati, però dovevano essere impeccabili, altrimenti un minimo errore poteva costarli la vita o nel migliore dei casi venivano “solo” puniti. Inoltre, erano costretti a suonare solo alcuni componimenti per via della censura. Si ascoltavano solo opere della letteratura classica o musica tradizionale del luogo, in cui le vittime utilizzavano le arie di questa musica come atto di denuncia dei propri soprusi o per fare beffa dei propri carnefici. Gli autori adoperavano diverse strategie per il proprio fine come, per esempio, scrivere sui brani in lingua ebraica o incrociare diverse lingue in modo irriconoscibile per i tedeschi. Addirittura, talvolta attraverso la parafrasi dei brani si eviscera un significato più profondo. Un esempio ne è Ilse Weber che, grazie al suo diario nascosto, in cui continuò a scrivere racconti, storie, canzoni e a comporre, è possibile oggi riportare alcune sue denunce. In alcuni sui testi in lingua tedesca utilizza espressioni che, se contestualizzate, sono molto forti: la neve che cade, non si riferisce alla vera neve; i bambini che volano nel cielo, non è una semplice e leggera affermazione, se ragionata nel contesto storico. In questi suoi scritti traspare un aspetto fortemente antitetico tra vita e morte, in cui solo apparentemente la morte ne prende sopravvento. In realtà la musica ha permesso loro, in qualche modo, di continuare a vivere fino ad oggi.

Ilse, oltre a dedicarsi ai suoi scritti mentre era in prigionia, si occupava anche dei bambini in infermeria alleviando le loro menti con canzoni e ninna nanne, anche quando li ha dovuti accompagnare nella stanza a gas. La seconda figura femminile, Frida Misul, è una cantante italiana che è stata denunciata dalla sua insegnante di canto ed è riuscita a salvarsi dai campi concentramento di Auschwitz. La musica non l’ha mai abbandonata anche quando le hanno tolto i denti per torturarla e successivamente le è stato chiesto di cantare con il fine di schernirla. Sebbene la difficoltà, è riuscita a cantare talmente bene che proprio grazie a questo macabro gesto, divenne una protetta sotto l’ala del kapò, colpito dalle sue abilità vocali. Nel progetto “Zakhor” è stato deciso di parlare anche di lei per far sentire questo momento storico ancora più vicino a noi, come testimonianza delle diversità etniche e di vissuti personali che hanno visto le mura dei campi di concentramento.

un disegno in bianco e nero di un treno bestiame e un pianoforte, al pianoforte una donna di spalle con un vestito rosso e le mani legate dieto la schiena.

Nonostante all’interno della musica concentrazionaria vi sia questa forte dicotomia tra la voce e la musica, intesa come fonte intima di vita per ogni artista, e il destino inevitabile, come fine della loro arte, ad oggi la loro musica non è morta e possiamo ancora udirla e leggerla. Infatti, sono presenti online gli archivi della musica concentrazionaria in continuo mutamento, dato che ancora adesso la ricerca di questi componimenti continua con l’obiettivo di raccogliere più materiale e fonti possibile.


BIBLIOGRAFIA:

  • Misul F., Canzoni tristi. Il diario inedito del lager (3 aprile 1944-24 luglio 1945), Belforte Salomone, 24 luglio 2019
  • Weber I. H., Quando finirà la sofferenza? Lettere e poesie da Theresienstadt, Lindau, 20 gennaio 2016

Dalle ricerche di Francesco Lotoro:

  • volumi I, II, III.  Storia e storiografia della letteratura musicale concentrazionaria dal 1933 al 1953
  • volume IV. Elenco e analisi dei Campi sede di attività creativa musicale dal 1933 al 1953
  • volume V, VI, VII. Elenco e biografie dei compositori che hanno prodotto in cattività dal 1933 al 1953
  • volumi VIII, IX, X, XI. 600 Partiture di opere musicali scritte in cattività civile e militare dal 1933 al 1953
  • volume XII. Tavole sinottiche della produzione musicale per Campi e Autori, bibliografia, discografia e filmografia, DVD 1 contenente le registrazioni discografiche delle opere pubblicate nei voll. VIII, IX, X, XI, DVD 2 contenente una ampia scelta di interviste a musicisti sopravvissuti.

SITOGRAFIA

PERDERE É APPRENDERE: IL VALORE DELLA PERDITA NELLE PRATICHE EDUCATIVE.

di Ilaria Pala

Premessa:

E’ inutile, è solo una perdita di tempo.

Almeno una volta nella vita, si è pronunciata questa frase o l’abbiamo ascoltata da qualcuno vicino a noi. Nella quotidianità, si associa la perdita di tempo a una concezione negativa, all’insistere verso un qualcosa che non porterà a niente, che porta ad uno spreco di energie che sarebbe meglio incanalare verso altri obiettivi. Tuttavia, si può dare alla perdita un profondo valore educativo, puntando a quella che è possibile definire una pedagogia del perdere e al valore che può dare all’apprendimento dei bambini e al miglioramento della loro vita quotidiana in particolare modo riguardo al tempo, all’osservazione e all’esplorazione del mondo circostante.

Gianfranco Zavalloni: perdere tempo è guadagnare tempo.

Nel 1994, Gianfranco Zavalloni, insegnante in una scuola dell’infanzia e poi dirigente scolastico, scrive e pubblica “Il manifesto dei diritti naturali di bimbe e bimbi”. Il documento si presenta come una sorta di costituzione, con tanto di articoli, nati da una profonda riflessione sui diritti dell’infanzia e dell’educazione. Così recita il manifesto:

1- Diritto all’ozio: a vivere momenti di tempo non programmato dagli adulti

2- Il diritto a sporcarsi: a giocare con la sabbia, la terra, l’erba, le foglie, l’acqua, i sassi, i rametti.

3: Il diritto agli odori: a percepire il gusto degli odori, riconoscere i profumi offerti dalla natura.

4 Il diritto al dialogo: ad ascoltare e poter prendere la parola, interloquire e dialogare.

5- Il diritto all’uso delle mani: a piantare chiodi, segare e raspare legni, scartavetrare, incollare, plasmare la creta, legare corde, accendere un fuoco.

6-Il diritto a un buono inizio: a mangiare cibi sani fin dalla nascita, bere acqua pulita e respirare aria pura.

7- Il diritto alla strada: a giocare in piazza liberamente, a camminare per le strade,

8- Il diritto al selvaggio: a costruire un rifugio gioco nei boschetti, ad avere canneti in cui nascondersi, alberi su cui arrampicarsi.

9- Il diritto al silenzio: ad ascoltare il soffio del vento, il canto degli uccelli, il gorgogliare dell’acqua.

10: Il diritto alle sfumature: a vedere il sorgere del sole e il suo tramonto, ad ammirare la notte, la luna e le stelle.

un piccolo umano dai capelli lunghi e biondi gioca con del fango tra i sassi del fiume.

Nel manifesto, sono custoditi i  punti chiave del pensiero pedagogico di Zavalloni : il tempo, il valore della lentezza, il valore di una scuola non violenta non basata esclusivamente sulla didattica ma anche sulla relazione e il dialogo. In particolare modo, Zavalloni si sofferma sull’importanza del “far perdere tempo”: scovare strategie utili per rallentare pratiche educative e didattiche radicalizzate, proponendo strategie alternative, quali:

-Perdere tempo a parlare: Gli educatori devono “perdere tempo” ad ascoltare e a parlare con i bambini, così solo conosceranno veramente chi hanno davanti e potranno elaborare buone regole e patti del vivere insieme.

– Perdere tempo a passeggiare, camminare, muoversi a piedi: Per vivere un territorio occorre esplorarlo insieme ai bambini, fare sentire a loro gli odori dei fiori, facendo provare sensazioni che creano legami con la natura. Fare sdraiare i bambini sul prato per guardare meglio le nuvole. Anche questa è scuola, di poesia.

-Perdere tempo ad ascoltare: Vogliamo perdere tempo ad ascoltare e a raccogliere la cultura e le emozioni di ogni bambino.

-Perdere tempo a parlare insieme: parlare con i bambini e non solo dei bambini.

-Perdere tempo nel rispetto di tutti: Rispettare nei gruppi i tempi di ognuno.

-Perdere tempo per darsi tempo: scoprire le piccole cose e strade nuove da percorrere.

Perdere tempo per condividere le scelte: per giocare, per crescere.

Perdere tempo per guadagnare tempo: rallentare perché la velocità s’impara con lentezza.

un umano preadolescente, dai capelli corti e biondi guarda il mondo attraverso un binocolo azzurro

Keri Smith: Perdersi per esplorare il mondo.

Nota pedagogista e scrittrice americana,  Smith, nel suo libro “ Come diventare un esploratore del mondo” propone una nuova modalità educativa, basata sull’esplorazione del mondo esterno  e fondata sul perdere tempo e sul perdersi per trovare la vera essenza delle cose e del mondo, per instaurare relazione autentiche con gli oggetti e gli elementi della natura circostante.

“ Ci sono tanti modi di perdersi: c’è un perdersi letterale, perdersi nel bosco non sapendo ritrovare la strada di casa, o ci sono modi metaforici di perdersi. Ci si può perdere nei propri pensieri o nel tempo o si può essere un’anima persa. Nel contesto dell’esplorazione possiamo concepire il perdersi come un modo di esistere in uno stato in cui non si sa esattamente dove ci si sta dirigendo. In questo senso possiamo scegliere di perderci letteralmente, esplorando un luogo dove non siamo mai stati prima o possiamo perderci nel senso di metterci in relazione con gli oggetti e con le idee in modo da non sapere quale sarà il risultato di questa interazione.”[1]

Secondo Smith, per poter conoscere con occhi nuovi e instaurare relazioni con l’ambiente circostante, occorre perdersi, per trovare poi sé stessi e guardare con uno sguardo senza pregiudizi e preconcetti il mondo intorno a noi. L’osservazione è un precetto fondamentale per Smith, che poi si traduce in una raccolta dati: il risultato è simile ad un diario dell’esploratore, una storia di viaggio documentata e che racconta il tutto grazie agli oggetti raccolti ( e con la creazione di una sorta di museo tascabile). Mentre si osserva, si può giocare con i propri occhi: incrociandoli per sfocare la vista o tenendo un occhio chiuso. L’importante è che si prenda nota di tutto questo, perché solo così si potrà ripercorrere l’esperienza e assaporarla a pieno, conoscendo.

Nella vita, si possono perdere tante cose. Oggetti, vie, purtroppo anche persone care. Ma questi autori, hanno messo in luce un nuovo modo di vedere la perdita, donandogli un valore essenziale per conoscere il mondo e noi stessi. Per trovarsi dunque, occorre perdere tempo e delle volte, anche noi stessi, per poter esplorare e osservare il mondo con occhi nuovi.

un piccolo umano con una camicia rossa esplora tra i rami di un albero

Bibliografia:

Smith K., Come diventare un esploratore del mondo, Museo d’arte di vita tascabile; Corraini edizioni,2017.

Zavalloni G, La pedagogia della lumaca: per una scuola lenta e non violenta, emi editore, ristampa 2018.

Sitografia:

www. festivaldellalentezza.it

www.tempiespazi.it


[1]Smith, K; Come diventare un esploratore del mondo, museo d’arte di vita tascabile; pag 42, Corraini edizioni.