GENTIL-BREZZA: Educare alla gentilezza come antidoto all’egoismo sociale.

di Ilaria Pala

PREMESSA:

Educare alla gentilezza è un processo complesso, continuo, che si costruisce nella quotidianità attraverso il contributo di molti attori, dalla famiglia ai professionisti dell’educazione e dell’insegnamento.

Non si tratta solo di educare i bambini a dire parole gentili in date situazioni, bensì, con quest’approccio educativo, si propone di far cresce i bambini gentili, rispettosi di sé e degli altri.

Spesso però, ci si domanda se abbia senso in una società come quella odierna, e il periodo che stiamo vivendo, educare alla gentilezza.

A volte si pensa che essere troppo gentile sia sinonimo di debolezza, quando, in realtà, la gentilezza è una delle caratteristiche principali delle persone forti e sagge, di coloro non ricorrono alla violenza, verbale e fisica, per imporsi e che hanno un buona autostima: si sceglie di essere gentili, perché lo si sente e non per obbligo.

EDUCARE ALLA GENTILEZZA: LE ORME DA SEGUIRE.

Come si può educare alla gentilezza partendo dall’infanzia per far diventare i bambini adulti gentili?

In primis, è fondamentale dire che non si educa alla gentilezza attraverso istruzioni ma fornendo un modello da seguire: è poco funzionale dire a un bambino “ si deve fare così”, mentre è più utile mostrargli come attuare nella quotidianità atti di gentilezza, da cui il bambino potrà prendere esempio.

Tante volte, infatti, presi dalla frenesia della giornata, capita di rispondere in malo modo, dunque se il bambino osserva un adulto gentile con i suoi coetanei, e con i bambini, potrà prendere ispirazione da un modello positivo.

Educare alla gentilezza è un allenamento quotidiano. Più i bambini hanno modo di vivere atteggiamenti rispettosi e cordiali, più saranno portati a replicarli, perché considerati come normali.

E’ importante che l’adulto di riferimento (genitori come l’educatore o l’insegnate) mostrino un modello di comportamento gentile verso gli altri adulti e gli altri bambini, perché trattare ed essere trattati con gentilezza è il miglior modo per sperimentare quanto sia importante essere gentile con gli altri.

 Occorre poi che l’educatore valorizzi i comportamenti gentili: non è facile imparare ad essere gentili, per questo è importante che si valorizzino i comportamenti rispettosi dei bambini.

Se un bambino si avvicina a un suo compagno di classe per consolarlo, è bene rinforzare questo gesto gentile; essendo in fase di crescita i bambini stanno sperimentando vari approcci, e indirizzarli verso il più corretto, è il compito dell’educatore.

I bambini devono essere aiutati nel capire che certi gesti sono apprezzabili e molto importanti, non dicendo semplicemente “bravo” ma valorizzando quel dato comportamento con una frase che lo riviva: “ Sai, stato davvero gentile a stare vicino al tuo compagno quando era triste”.

Educare alla gentilezza significa anche confrontarsi sul cosa voglia dire essere gentili e rispettosi.

Ci si può confrontare su un evento di vita quotidiano e su un fatto personale, confrontarsi su cosa si potrebbe fare o su cosa avremmo fatto noi nella stessa situazione aiuta i bambini ad avvicinarsi alla gentilezza.

Si educa alla gentilezza fornendo anche un’educazione emotiva: Essere gentili significa essere rispettosi di sé e degli altri.

Parlare senza aggredire, confrontarsi senza litigare; significa imparare a riconoscere e gestire le proprie emozioni, evitando che esse si ripercuotano in modo incontrollabile sull’altro.

Ad esempio, ipotizziamo che un bambino sia davanti a noi, arrabbiato, e che cominci a rispondere male a noi e ai suoi compagni.

La prima cosa da fare è quella di prendere da parte il bambino e cercare di tranquillizzarlo. Dopo averli chiesto il perché del suo stato, gli si dirà che ha tutto il diritto di essere arrabbiato, ma che, tuttavia, non è corretto prendersela con noi e con i suoi compagni.

In questo modo, si aiuterà il bambino a riconoscere correttamente le emozioni che prova, arrivando poi con il tempo a gestirle al meglio, aiutandolo con strumenti teorici e strategie educative di supporto.

Quando si parla di educazione alla gentilezza non è possibile non parlare di empatia: imparare a mettersi nei panni dell’altro e riconoscere come ci si può sentire promuove la gentilezza più di qualsiasi imposizione.

GENERAZIONE ANSIA

di Isotta Orlando e con GenerazioneAnsia

In tempi normali avrei preso un treno, guardato scorre i campi che ormai conosco a memoria e avrei invitato questi due ragazzi in un bar del centro di quella che ormai non è più la mia città.

Ci saremmo guardati da dietro un caffè, o forse uno spritz, e avremmo parlato a lungo.

Invece ci troviamo di fronte ad uno schermo, tre millennials (fingendo di non essere nata in quell’anno di limbo, troppo piccola per ricordare gli anni 90, troppo grande per apprezzare TikTok), tre millennials qualsiasi.

Le domande le ho pronte da un po’ ma chissà dove ci porterà questa intervista.

Alice e Giulio si sono conosciuti in quel meraviglioso calderone di persone e idee che è Venezia, e li immagino mentre si raccontano tra le calli o in qualche angolo di campo Santa Marghe, immagino fiumi di parole e la sensazione di aver trovato qualcuno con cui poter parlare di tutto, davvero.

Hanno le mani nell’Arte e molta curiosità, si pongono domande e cercano assieme le risposte.

La loro amicizia, nata tra le calli, cresce sui social, e piano piano si accorgono di come la parola ANSIA sia spesso usata dai loro coetanei, nei meme e nei modi di dire, avere l’ansia sembra essere quasi una moda o forse è il sintomo di qualcosa di più pervasivo e serio.

ANSIA

Fine febbraio 2020, nessuna pandemia in vista, un viaggio in treno e un’idea in testa.

Perché non raccontare, attraverso un film on the road, questo fenomeno.

Film on the road, docufilm, videodiario e poi cinefiction, in due non è facile organizzare una produzione e la pandemia mette i bastoni tra le ruote. Ma non si fanno fermare, dedicano il loro tempo alla ricerca, allo studio, alla scoperta di quello che è ansia.

Vogliono fare un prodotto di qualità, rendere giustizia, essere leggeri si, “niente supercazzole” sottolinea Giulio, vogliono creare un prodotto di qualità.

Vogliono farlo con i millennials come protagonisti, per questo quando cercano un esperto da intervistare si rivolgono a giovani come loro o poco più grandi. Sarebbe difficile spiegare e farsi spiegare un fenomeno che non si è vissuto pienamente.

I “boomer” sanno forse dare una definizione da manuale dell’ansia, ma la percepiscono e la vivono in un modo molto diverso da noi, quando descrivono il giovane ansioso ne riportano un immagine stereotipata e spesso dispregiativa. L’ansia però non è solo un ragazzino che suda e si agita prima di dare un esame. La nostra ansia pervade la vita, rimane per mesi e spesso fatichiamo a trovare una sola causa e quindi a combatterla. Confrontarci con la generazione dei nostri genitori, chi non l’ha mai fatto alzi la mano e vi vedo che non siete molti, non ci fa affatto bene!

I nostri genitori sono nati e cresciuti in un mondo ricco, che prometteva e dava, hanno sempre saputo che studiando, impegnandosi e lavorando sarebbero riusciti a raggiungere i loro obiettivi, era un mondo di famiglie del mulino bianco? Probabilmente no, ma non era poi così male. Noi invece, che siamo cresciuti con i loro miti ci siamo scontrati con un mondo sgretolato, dove l’impegno spesso non è ripagato, siamo una generazione di disoccupati che passano per fannulloni e sdraiati ma che spesso si ritrovano a non avere le occasioni e le possibilità per lavorare. Una generazione di ansiosi. Alice e Giulio si chiedono come sarà il mondo tra quindici o vent’anni quando sarà sulle nostre spalle.

Si domandano anche perché la letteratura sull’argomento sia scarna e molto settoriale, perché venga guardato da un solo punto di vista e non si analizzino le diverse sfaccettature e le conseguenze sui diversi piani. Sappiamo relativamente bene cosa comporti per una persona convivere con l’ansia, non sappiamo però cosa possa voler dire vivere in una società di ansiosi.

Chiacchierando con Alice e Giulio, improvvisamente, mi sento privilegiata, non è una sensazione nuova, ho ventitré anni e un lavoro che mi basta per mantenermi e vivere da sola, ho vinto la lotteria, è strano però sentirsi fortunati per qualcosa che dovrebbe essere scontato. Dovrei essere felice e contenta, come i giovani “esperti” che intervistano nel loro progetto, l’ansia non dovrebbe far parte delle nostre vite e invece la conosciamo anche noi e siamo tutti un po’ schiavi del confronto, ci sentiamo colpevoli se ci lamentiamo, consci di chi sta peggio di noi, non ci sentiamo in diritto di stare male, dopotutto, dicono i nonni, non siamo mica in guerra.

A chi dice che noi millennials guardiamo solo il nostro ombelico, dice Alice, rispondo dicendo che siamo la generazione del continuo confronto, tra i pari e con le generazioni più vecchie, un confronto che è un arma rivolta contro noi stessi, aggiunge Giulio, ci guardiamo intorno e spesso non troviamo il coraggio di lamentarci perché confrontiamo il nostro star male con quello degli altri sottostimandone la gravità, il peso e le conseguenze per noi, l’ altra faccia della medaglia, continua, è la banalizzazione dell’ansia, l’attaccare questa etichetta a qualsiasi situazione sgradevole fino a perdere significato di questo termine.

È un argomento intricato, ricco di spunti, se fossimo in quella piazza avremmo ordinato un altro giro, e saremmo rimasti a parlarne ancora. Siamo dietro un pc ma Giulio mi assicura che il link non scade e promette un’altra chiacchierata.

Per chiudere una domanda, la prima che avevo segnato nel quaderno mentre quest’intervista era solo un embrione e che ho scoperto essere LA domanda di chiusura di tutte le loro interviste.

Cos’è per te l’ansia?

A: Per me l’ansia è una compagna di vita, conosciuta all’università, a dir il vero avrei preferito non conoscerla, ma mi ha permesso di indagare su me stessa, di sfidarmi e di scoprirmi.

Con l’ansia ogni giorno è una sfida. Non l’ho ancora superata, ma la ringrazio perché mi ha reso migliore rispetto a come ero dieci anni fa. Ora imparo a conviverci.

G: Immobilismo, incapacità di agire, di gestire o progettare il futuro, mancanza di evoluzione. È usare le mie energie per pensieri negativi ed averne poche per andare avanti, non è immobilismo in generale, direi più un immobilismo verso il positivo, discorso complicato, quando sono in preda all’ansia sono in realtà più attivo, ma non è un’attività che mi fa bene, è negatività.

A: Buffo, abbiamo dato due risposte completamente opposte.